G. Bruno: la morte

Non essendo affatto dissolubile la sostanza delle cose, non bisogna temere la morte, ma, come afferma Pitagora, attenderla come un momento di passaggio; essa infatti implica una dissoluzione completa per i composti, ma non per la sostanza; essa riguarda gli eventi. Altrimenti scambieremmo la sostanza con i suoi singoli accidenti, dal momento che l’efflusso dal nostro corpo e l’influsso sul nostro corpo sono continui. Insomma, solo in virtù della sostanza indivisibile dell’anima noi siamo ciò che ci troviamo ad essere, intorno alla quale, come intorno ad un centro, si compie la disgregazione e l’aggregazione degli atomi. Di qui, dal momento della nascita a quelli successivi della vita, uno spirito ordinatore si espande in quello che è il nostro corpo, e si diffonde dal cuore, nel quale, alla fine, ritorna come gli orditi della tela di un ragno che convergono al centro in modo da entrare ed uscire per la medesima via percorsa e per la medesima porta. La nascita è dunque l’espansione del centro, la vita una sfera compiuta, la morte una contrazione verso il centro. Deriva un validissimo argomento a conferma della nostra immortalità dal principio secondo cui la sostanza indivisibile, la quale dà origine, agglomera, disgrega, ordina, vivifica, muove, intesse, e come un mirabile artefice è preposta a tanta opera, non debba affatto essere di condizione inferiore agli enti corporei, dei quali essa è veramente il fondamento eterno, che sono aggregati, disgregati, ordinati, mossi e da essa dipendono.
Rispetto al suo precedente comportamento durante la sua permanenza nel corpo, l’anima si dispone variamente per le successive incarnazioni secondo Pitagora, i Saducei, Origene e molti altri tra i Platonici. Non è quindi casuale il mutamento delle sedi da parte dell’anima, come non lo è quello delle parti che formano la massa corporea. Per cui alcune anime s’incarnano in comuni esseri umani, altre in eroi, altre ancora assumono forme degradanti.
Ciò almeno secondo l’opinione di coloro i quali ritengono tutte le cose, tranne l’uno, sottoposte ad un perenne mutamento.

De triplici minimo et mensura – Libro primo cap. 3